Dismorfofobia: quando il corpo diventa il nostro primo nemico

Dismorfofobia: quando il corpo diventa il nostro primo nemico

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Dismorfofobia: quando il corpo diventa il nostro primo nemico

Guardarsi allo specchio! Un’azione così facile, che probabilmente compiamo ogni giorno, più volte al giorno, senza nemmeno rendercene conto. Ci guardiamo allo specchio per controllare se il trucco è apposto, se un determinato vestito ci sta bene o se è il caso di cambiarlo. Ma davvero questo nostro amico/nemico riflette solo la nostra superficie, quello che “siamo” al di fuori? Forse il discorso non è così semplice!

L’importanza dell’immagine

L’immagine che di noi vediamo riflessa può essere elaborata in mille modi diversi, e questo dipende soprattutto dal nostro umore, ma se facciamo del nostro corpo il portavoce di una profonda sofferenza interiore quello che vediamo non è ciò che realmente siamo. Soprattutto durante l’adolescenza, periodo di grandi trasformazioni puberali, il corpo può apparire come qualcosa del tutto estraneo, come se non ci appartenesse. Ci fissiamo su difetti che probabilmente a un occhio esterno non sono poi così inguardabili. Ma cosa accade quando durante lo sviluppo la persona non riesce a superare l’incapacità di accettare l’imperfezione (sempre se c’è!) del proprio corpo?

Definiamo con il termine dismorfofobia una percezione alterata della propria immagine corporea, in cui l’ossessione per un difetto, inesistente o minimo, domina la vita della persona, e queste preoccupazioni spesso diventano incontrollabili, portandola a passare molte ore della giornata a rimuginare sul difetto fisico.

La persona può passare molto tempo davanti ad uno specchio, o al contrario evitare qualunque superficie che possa riflettere la sua immagine, e tenterà di nascondere il difetto in qualunque modo, per es. con il trucco o con l’abbigliamento. Talvolta questi soggetti ricorrono alla chirurgia estetica, o comunque tendono ad avere una cura eccessiva del corpo, facendo anche paragoni sui propri e altrui difetti, rendendo la vita socio-relazionale molto difficile a causa del loro forte senso di vergogna.

Dismorfofobia: quali gravi conseguenze?

La dismorfofobia è un disturbo grave che può portare il soggetto all’isolamento sociale fino a sfociare in idee suicidarie. L’età di esordio è compresa tra i 15 e i 20 anni, e le donne sembrerebbero essere il sesso maggiormente a rischio. Il dismorfofobico può “fissarsi” su più parti del corpo, ma è più frequente che una o due parti siano oggetto dell’ossessione. La sua vita quindi diventa una continua ricerca della “perfezione” (se mai potrà raggiungerla!) dato che si vede dentro un corpo che non gli appartiene, che diventa il campo dell’ inadeguatezza interiore, di un Sé difficile da trovare e da accettare.

Cause ancora non del tutto chiare

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Il disturbo di dismorfismo è ancora poco studiato, quindi rintracciarne un giusto profilo è un’impresa ardua, anche perché pochi pazienti chiedono un consulto psicologico, per il fatto che oggi sembra del tutto normale preoccuparsi per il proprio aspetto fisico. Si può trovare una possibile correlazione tra dismorfofobia e disturbo dell’umore, disturbo narcisistico della personalità e disturbo ossessivo-compulsivo. Ma queste psicopatologie possono esserne sia la causa, sia la conseguenza della cattiva percezione del proprio corpo.

Se le cause psicodinamiche del disturbo non hanno ancora trovato un’adeguata spiegazione, una ricerca dell’Università della California condotta da Jamie Feusner dimostra che la dismorfofobia non dipenderebbe solo da un’elaborazione del pensiero. Lo studio sottolinea che il paziente, vedendosi come un vero mostro affetto da deformità, ha un’attività cerebrale ridotta rispetto al normale nel momento in cui viene attivata l’ elaborazione degli elementi visivi, e ciò vale sia per l’immagine del proprio corpo sia per qualunque altro oggetto.

Un incremento dei casi di dismorfofobia

Nonostante i pochi studi condotti sui pazienti dismorfofobici non ci hanno permesso di delinearne le cause principali, sicuramente un’osservazione da fare è che il disturbo ha subito un aumento di casi negli ultimi anni, da quando i modelli perfezionistici che la società continua a proporre, ha portato le persone a preoccuparsi eccessivamente del proprio aspetto fisico. In personalità già rese fragili da esperienze personali, il contesto ambientale contemporaneo ha un effetto devastante, facendo credere alla persona che il corpo è il solo “mezzo” per ottenere successo e attenzioni.

La fame di bellezza del mondo attuale, insieme alla difficoltà a trovarla e a goderne stabilmente, non è mai stata così intensa come nell’ultimo millennio. Siamo sempre più immersi in un mondo in cui la bellezza è spettacolarizzata, mercificata, massificata. Come scrive la Dott.ssa Maria Teresa Colonna (1997): <Il ricorso a interventi chirurgici, l’uso estremo di pratiche di fitness, cosmesi, massaggi denunciano chiaramente la diffusione di un’angoscia della bellezza in cui il corpo diventa estraneo, l’aspetto di un’ombra rifiutata>.

Martin Heidegger (1938) ha proposto di denominare l’epoca attuale <epoca delle immagini del mondo> volendo evidenziare che ormai la comunicazione per immagini ha assunto in ogni ambito della vita pubblica e privata un ruolo assoluto. L’essere si risolve esclusivamente nell’apparire, stiamo perdendo la riflessione sul nostro mondo personale, come se fossimo estranei a noi stessi, facendo collassare la nostra coscienza in una solitudine sempre più profonda.

Il rischio in adolescenza

Rischiamo di diventare tutti beauty-addicted (La Barbera, Guarneri, Ferraro, 2009), e l’adolescente ne è sicuramente il bersaglio più ambito per questa società “che appare”; più si ha una personalità non ancora formata e salda, più si è a rischio di trovarsi travolti da queste eccessive richieste di conformità e stereotipie. In questo scenario l’Altro diventa il nostro inquisitore, ci giudica, forma la rappresentazione del nostro corpo, facendo abitare il singolo in un corpo che non ha scelto, assoggettato completamente dall’Altro, trasformando il corpo in qualcosa di ingovernabile.

Accettare questo senso multidimensionale del nostro Sé con l’Altro significa essere liberi dall’etichetta che noi accogliamo (in modo più o meno consapevole) da quello che la società ci rimanda. In questo scenario problematico, ma reale, il ruolo genitoriale diventa essenziale per uno sviluppo psichico il più possibile sano per il proprio figlio, un continuo compito di equilibrio tra ciò che il soggetto realmente è e ciò che la società gli impone di essere.

Cosa possiamo fare?

Come già esposto sopra, il disturbo da dismorfismo corporeo non ha ancora goduto di un’adeguata attenzione, e anche per questo il trattamento, possiamo dire che, è “in fase di costruzione”. Però è anche vero che, come mostrano alcune ricerche rispetto al trattamento farmacologico, i pazienti sembrano rispondere bene all’assunzione di SSRI (Hollander,1989; Phillips 1988,2001) così come alla clomipramina (Phillips, 1996) e alla fluoxetina (Phillips, 2002). È utile, come in molti altri disturbi psichiatrici, affiancare alla terapia farmacologica, anche una psicoterapia. A riguardo l’approccio terapeutico cognitivo-comportamentale sembra essere particolarmente utile per modificare la percezione distorta di sé. Sarà utile aiutare il paziente ad esporsi alle situazioni temute e ridurre progressivamente i comportamenti compulsivi.

Anche la terapia breve strategica sembra essere un adeguato trattamento, come esposto dal Dott. Nardone in un’intervista on line.

Bibliografia

  • La Barbera, Guarneri, Ferraro “Il disagio psichico nella post-modernità” Magi Formazione, 2009
  • Recalcati M. “L’uomo senza inconscio” Raffaello Cortina Editore, 2010
  • Todarello O., Porcelli P. “Trattamenti in medina psicosomatica” Franco Angeli, 2006
Simona Lauri

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    Simona Lauri
    Psicologa e psicoterapeuta breve strategica. Oltre che offrire interventi di psicoterapia breve, mi occupo di coaching alimentare e sportivo.

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