Abbuffarsi: quando il cibo diventa una fuga psicologica

Abbuffarsi: quando il cibo diventa una fuga psicologica

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Abbuffarsi: quando il cibo diventa una fuga psicologica

Abbuffarsi e usare il cibo come fonte di consolazione sta diventando, sempre di più, un problema molto diffuso. un L’atto di nutrirsi, apparentemente semplice e primordiale, può celare significati complessi e profondi. Se in molte culture il cibo è simbolo di condivisione, celebrazione e cura, può altrettanto facilmente trasformarsi in uno strumento per compensare disagi psicologici. Le abbuffate, o episodi di sovralimentazione incontrollata, vanno ben oltre la semplice gola o il piacere del cibo: esse diventano, infatti, una forma di “comunicazione non verbale” tra mente e corpo. Questo fenomeno è caratterizzato da un senso di perdita di controllo durante l’atto del mangiare, e può essere associato a un ciclo di vergogna e colpa. Il cibo, in questi casi, viene usato per gestire emozioni complesse che, altrimenti, risultano troppo difficili da affrontare o comprendere.

Abbuffarsi: quale significato?

L’atto di abbuffarsi è strettamente legate al rapporto che l’individuo intrattiene con le proprie emozioni. In termini psicologici, possiamo inquadrare questo comportamento nel più ampio contesto delle strategie di regolazione emotiva. Daniel Goleman, pioniere nello studio dell’intelligenza emotiva, sostiene che quando le emozioni sono difficili da identificare o gestire, l’individuo cerca un modo immediato per anestetizzare il disagio interiore. In tale quadro, il cibo diventa una risposta a emozioni quali ansia, tristezza, rabbia o solitudine, in un tentativo di lenire una sofferenza psicologica. Si potrebbe paragonare questo comportamento a quello di chi si rifugia in altre dipendenze, come l’alcool o il gioco d’azzardo, per sfuggire a un carico emotivo che sembra insopportabile.

Il meccanismo delle abbuffate può essere spiegato con la teoria della regolazione difensiva, che si basa sulla necessità di ridurre l’intensità delle emozioni attraverso attività piacevoli, ma disfunzionali. L’abbuffata risponde al bisogno immediato di placare l’angoscia, ma a lungo termine peggiora la situazione, creando un circolo vizioso. Da un lato, vi è un temporaneo sollievo derivante dal consumo di cibo, dall’altro, subentra rapidamente il senso di colpa, peggiorando l’autostima e rinforzando il comportamento disfunzionale. La persona si ritrova a oscillare tra il desiderio di controllo e la perdita dello stesso, alimentando un conflitto interno che mina ulteriormente il proprio equilibrio psicologico.

Abbuffarsi, la dissociazione emotiva e il vuoto interiore

Una delle dinamiche chiave che alimentano le abbuffate è la dissociazione emotiva, un concetto ampiamente esplorato da autori come Philip Bromberg e Peter Fonagy. Quando una persona è dissociata dalle proprie emozioni, non riesce a connettersi in modo consapevole con ciò che prova. Questo stato di alienazione interna porta a una percezione alterata dei propri bisogni, trasformando una necessità psicologica (es. bisogno di conforto o connessione) in una fame fisica. In un certo senso, il cibo diventa un modo tangibile per colmare un vuoto interiore. Questa disconnessione emozionale può essere aggravata da un contesto di vita in cui l’individuo non riceve adeguato sostegno affettivo o emotivo, e le abbuffate diventano l’unico modo per “sentire” qualcosa.

Si potrebbe, inoltre, fare riferimento alla teoria dell’attaccamento di Bowlby, secondo cui le relazioni formative influenzano profondamente la capacità dell’individuo di gestire emozioni e relazioni da adulto. Se durante l’infanzia una persona non ha ricevuto adeguate risposte emotive dai genitori o dai caregiver, può sviluppare un attaccamento insicuro che si riflette in una difficoltà cronica a gestire stress e sofferenze emotive. Il cibo, in questo contesto, viene utilizzato come sostituto di un amore o di un conforto che sembra mancare.

La mindful eating: un ritorno alla consapevolezza

Di fronte alla dissociazione emotiva e alla difficoltà di gestione delle emozioni, la mindful eating rappresenta un’alternativa concreta e salutare. Questa pratica, basata sui principi della mindfulness, mira a riportare l’individuo in contatto con il proprio corpo e le proprie emozioni attraverso il cibo. La mindful eating non impone regole rigide o privazioni, ma promuove un’attenzione consapevole e non giudicante verso il proprio comportamento alimentare.

Il processo di mindfulness applicato al cibo invita l’individuo a concentrarsi su ogni aspetto dell’esperienza alimentare: dal momento in cui si sceglie il cibo a quello in cui lo si mastica e deglutisce. Questa pratica rallenta il ritmo dell’abbuffata e offre all’individuo lo spazio per riflettere su cosa stia realmente provando. In uno studio condotto da Kristeller e Wolever (2011), si è osservato che la pratica della mindful eating ha significativamente ridotto i comportamenti compulsivi legati al cibo in soggetti con disturbi alimentari. Il ritorno alla consapevolezza permette infatti di riconoscere i segnali di fame e sazietà, interrompendo il ciclo della sovralimentazione incontrollata.

Abbuffarsi: strategie psicologiche per gestire le abbuffate

Oltre alla pratica della mindful eating, esistono diverse strategie psicologiche che possono aiutare chi soffre di abbuffate a riprendere il controllo del proprio comportamento alimentare e, soprattutto, delle proprie emozioni.

  1. Identificare i trigger Emotivi: Una delle prime tappe nel trattamento delle abbuffate consiste nell’imparare a riconoscere i fattori scatenanti. Le abbuffate non avvengono in un vuoto emotivo; spesso sono innescate da situazioni stressanti, emozioni negative o addirittura dall’abitudine. Imparare a identificare i trigger emotivi e differenziarli dalla vera fame fisica è un passo fondamentale per ridurre gli episodi di sovralimentazione.
  2. Diario alimentare e delle emozioni: Tenere un diario che registri non solo ciò che si mangia, ma anche come ci si sente durante e dopo i pasti, può essere uno strumento potente per identificare schemi ripetitivi. Questo esercizio, comune nelle terapie cognitive-comportamentali, aiuta a portare alla luce i legami tra emozioni e comportamento alimentare, fornendo una base per lavorare su nuovi schemi di pensiero e di azione più funzionali.
  3. Sviluppare alternative al cibo per la regolazione emotiva: Dal punto di vista psicologico, è importante che l’individuo sviluppi strategie alternative per regolare le emozioni difficili. Attività come l’esercizio fisico, la meditazione o il dialogo con una persona di fiducia possono essere strumenti validi per affrontare lo stress senza ricorrere al cibo. La psicologia positiva sottolinea l’importanza di coltivare attività che generano benessere e piacere, come metodo preventivo per evitare comportamenti autodistruttivi.
  4. Intervento psicoterapeutico: Nei casi in cui le abbuffate siano sintomo di una problematica più profonda, come la depressione o i disturbi d’ansia, un percorso di psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT) o di Terapia Dialettico-Comportamentale (DBT) può essere fondamentale. Questi approcci aiutano l’individuo a riconoscere e modificare i pensieri distorti che alimentano le abbuffate, promuovendo al contempo una maggiore consapevolezza emotiva e un più saldo controllo sulle proprie azioni.

Conclusione

Le abbuffate sono un sintomo complesso di disagi psicologici profondi, che richiede un approccio multidisciplinare per essere compreso e trattato. Sebbene il cibo venga utilizzato come mezzo per gestire emozioni scomode, l’unica strada per risolvere veramente il problema è quella di affrontare queste emozioni alla radice. La combinazione di mindful eating, strategie psicologiche mirate e, se necessario, interventi terapeutici può offrire a chi soffre di abbuffate gli strumenti necessari per recuperare un rapporto sano con il cibo e con se stesso.

 

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Bibliografia e Sitografia

  • Kabat-Zinn, J. (1990). Full Catastrophe Living. Random House.
  • Goleman, D. (1995). Emotional Intelligence: Why It Can Matter More Than IQ. Bantam Books.
  • Fonagy, P., Target, M. (2003). Psychoanalytic Theories: Perspectives from Developmental Psychopathology. Whurr Publishers.
  • Deci, E. L., Ryan, R. M. (1985). Intrinsic Motivation and Self-Determination in Human Behavior. Plenum.
Simona Lauri

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    Simona Lauri
    Psicologa e psicoterapeuta breve strategica. Oltre che offrire interventi di psicoterapia breve, mi occupo di coaching alimentare e sportivo.

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