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Le abbuffate emotive: il circolo vizioso della fame emotiva e la terapia strategica breve

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Le abbuffate emotive e fame emotiva: un’analisi psicologica profonda

Le abbuffate emotive, note come fame emotiva è un fenomeno psicologico caratterizzato dalla tendenza a utilizzare il cibo come risposta a stati emotivi, piuttosto che a segnali fisiologici di fame. Si manifesta come un comportamento automatico e spesso inconsapevole, in cui l’individuo cerca conforto, distrazione o sollievo da emozioni difficili attraverso l’assunzione di cibo, senza che vi sia una reale necessità biologica. Questo fenomeno, altrimenti noto come “emotional eating”, è spesso confuso con la fame fisica, ma differisce per le sue radici emozionali e le sue conseguenze psicologiche.

Le abbuffate emotive: manifestazioni della fame emotiva

Le manifestazioni della fame emotiva sono variegate e possono includere:

  • Craving di cibi specifici, spesso ricchi di zuccheri o grassi, in risposta a sentimenti come stress, tristezza, ansia o noia.
  • Mangiare in assenza di fame fisiologica, spesso in modo compulsivo e incontrollato.
  • Sensazione di colpa o vergogna dopo aver mangiato, seguita da un circolo vizioso di emozioni negative e ulteriore assunzione di cibo.
  • Tendenza a mangiare di nascosto o in solitudine, per evitare il giudizio degli altri.

È importante notare che la fame emotiva non è necessariamente legata a disturbi alimentari conclamati come l’anoressia o la bulimia, ma può comunque avere un impatto significativo sulla salute psicologica e fisica dell’individuo.

I costrutti teorici dietro la fame emotiva

La fame emotiva può essere spiegata attraverso diversi costrutti teorici. Alcuni dei principali includono:

  1. Teoria del condizionamento classico: secondo i principi del condizionamento classico, l’individuo associa il cibo a specifiche emozioni o situazioni. Ad esempio, se durante l’infanzia un bambino riceve dolci come ricompensa quando è triste, da adulto potrebbe cercare lo stesso tipo di conforto attraverso il cibo quando sperimenta emozioni simili. Questo schema, ripetuto nel tempo, rinforza il legame tra emozioni negative e consumo di cibo.
  2. Modello del coping disadattivo:  le “abbuffate emotive” sono spesso viste come una strategia di coping disadattiva, in cui l’individuo cerca di gestire emozioni difficili attraverso l’assunzione di cibo, anziché affrontare direttamente la fonte dello stress. Questo modello è legato alla Teoria del sé di Baumeister, che suggerisce che quando le persone percepiscono una minaccia alla loro autostima o al loro senso di controllo, potrebbero ricorrere a comportamenti immediati e gratificanti come il mangiare per alleviare temporaneamente il disagio.
  3. Teoria del deficit di consapevolezza emotiva (alexitimia) La fame emotiva può essere il risultato di una difficoltà nel riconoscere e gestire le proprie emozioni, fenomeno noto come alexitimia. Gli individui con questo deficit tendono a confondere i segnali emotivi con quelli fisici e potrebbero interpretare sensazioni emotive come fame, utilizzando il cibo per regolare stati interni che non riescono a identificare o verbalizzare.
  4. Modello della regolazione emotiva La fame emotiva può essere vista come un fallimento nella regolazione emotiva. Secondo Gross (1998), la regolazione delle emozioni implica la capacità di monitorare, valutare e modificare le reazioni emotive in modo appropriato. Quando l’individuo non riesce a gestire in modo efficace le emozioni, può ricorrere al cibo come forma di autoterapia per ottenere un rapido sollievo, anche se temporaneo.

Le abbuffate emotive: il ruolo della consapevolezza e del cambiamento comportamentale

Il primo passo per affrontare la fame emotiva è la consapevolezza. Le tecniche di mindfulness e di auto-monitoraggio sono centrali in questo processo. L’individuo deve essere capace di distinguere la fame emotiva dalla fame fisica, riconoscendo i segnali emotivi che portano al desiderio di cibo. La mindful eating, come evidenziato, aiuta a riportare l’attenzione sul qui e ora, invitando l’individuo a riscoprire il piacere del cibo in modo non reattivo, rallentando il processo di alimentazione e sintonizzandosi sui segnali di sazietà.

L’impatto delle emozioni sul comportamento alimentare

Un elemento cruciale per comprendere la fame emotiva è riconoscere l’impatto che le emozioni, in particolare quelle negative come ansia, stress e tristezza, possono avere sui comportamenti alimentari. Le emozioni agiscono come un fattore scatenante per comportamenti impulsivi e spesso non regolati. Questa dinamica, talvolta profondamente radicata nell’infanzia o adolescenza, si perpetua attraverso il rinforzo del comportamento. Ogni volta che si mangia per placare una sensazione di malessere emotivo, il cervello associa il cibo a un sollievo temporaneo, rafforzando così il comportamento alimentare disfunzionale.

Gli aspetti  neurobiologici della fame emotiva

Dal punto di vista neurobiologico, la fame emotiva coinvolge strutture cerebrali legate al sistema di ricompensa, come il nucleo accumbens e l’amigdala, responsabili della regolazione delle emozioni e del piacere. Il consumo di cibi ad alto contenuto di zuccheri e grassi stimola il rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore associato al piacere e alla gratificazione immediata. Questo meccanismo rinforza ulteriormente il ciclo di fame emotiva, creando una sorta di dipendenza emozionale dal cibo.

Le recenti ricerche in neuropsicologia mostrano che le persone che soffrono di fame emotiva presentano spesso un’elevata sensibilità alla ricompensa, accompagnata da una scarsa capacità di autocontrollo e regolazione delle emozioni, confermando che la fame emotiva è un fenomeno radicato non solo a livello psicologico, ma anche neurobiologico.

Le strategie psicologiche per gestire le abbuffate emotive

La psicologia ha sviluppato diverse strategie per affrontare la fame emotiva, con l’obiettivo di interrompere il circolo vizioso tra emozioni e alimentazione disfunzionale. Le principali tecniche includono:

  1. Mindful eating
    La mindful eating, o alimentazione consapevole, è una pratica derivata dalla mindfulness che invita l’individuo a prestare attenzione al processo del mangiare in modo non giudicante. Consapevolezza dei segnali di fame e sazietà, riconoscimento delle emozioni che spingono a mangiare, e attenzione ai gusti e alle sensazioni fisiche legate al cibo sono aspetti centrali di questa pratica. Secondo Kristeller e Wolever (2011), la mindful eating aiuta a spezzare l’automaticità del mangiare emotivo, riportando l’attenzione alle reali necessità fisiche del corpo.
  2. Ristrutturazione cognitiva
    La ristrutturazione cognitiva mira a modificare i pensieri disfunzionali che alimentano la fame emotiva. Le persone spesso sviluppano convinzioni negative riguardo a se stesse o al cibo, come “Se sono stressato, devo mangiare” o “Il cibo è l’unica cosa che mi conforta”. Attraverso la ristrutturazione cognitiva, il terapeuta aiuta il paziente a riconoscere e sfidare questi pensieri, sostituendoli con convinzioni più funzionali.
  3. Tecniche di coping alternativo
    Poiché la fame emotiva spesso deriva dall’incapacità di affrontare emozioni difficili, è essenziale che l’individuo sviluppi strategie di coping alternative. Questo può includere attività rilassanti come lo yoga o la meditazione, oppure tecniche di gestione dello stress come la respirazione profonda o l’espressione creativa delle emozioni (scrittura, arte, musica).

La abbuffate emotive rappresenta un fenomeno complesso, radicato in dinamiche psicologiche profonde e modellato da molteplici fattori. Attraverso una combinazione di interventi psicologici, che spaziano da approcci consapevoli come la mindful eating a tecniche terapeutiche avanzate come quelle offerte dalla psicoterapia strategica breve, è possibile interrompere i circoli viziosi che legano le emozioni negative al comportamento alimentare disfunzionale

Le abbuffate emotive e la fame emotiva nella psicoterapia strategica breve

Nel contesto della psicoterapia strategica breve, la fame emotiva viene trattata attraverso interventi mirati e focalizzati sul cambiamento del comportamento in tempi rapidi. Tra le principali tecniche utilizzate:

  1. Ridefinizione del problema
    Uno degli approcci principali nella psicoterapia strategica breve è la ridefinizione del problema. Invece di vedere la fame emotiva come un difetto personale o una mancanza di controllo, si può aiutare il paziente a comprendere come questo comportamento rappresenti una strategia di sopravvivenza emotiva. Questo cambio di prospettiva facilita l’elaborazione di nuove modalità di gestione delle emozioni.
  2. Prescrizione del sintomo
    In alcuni casi, può essere utile prescrivere al paziente di esagerare il comportamento problematico, come mangiare in risposta a una specifica emozione. Questa tecnica paradossale, proposta da Watzlawick, Weakland e Fisch (1974), ha lo scopo di rompere l’automatismo del comportamento e portare il paziente a una maggiore consapevolezza delle sue dinamiche interne.

Strategie tratte dalla psicoterapia strategica breve 

Come accennato in precedenza, sia la psicoterapia strategica breve offre strumenti efficaci per trattare la fame emotiva. Vediamo più in dettaglio come queste due forme di terapia possono aiutare.

  1. Tecniche di ristrutturazione della realtà
    In questo approccio, il terapeuta lavora per ridefinire il modo in cui il paziente percepisce il proprio problema. Nel caso della fame emotiva, può essere utile esplorare come il cibo venga utilizzato come “falsa soluzione” a un disagio emotivo. La comprensione che il cibo non è la risposta appropriata al malessere emozionale è il primo passo per creare un cambiamento reale.
  2. Tecniche paradossali
    Le tecniche paradossali, come la prescrizione del sintomo, sono utilizzate per rompere il ciclo della fame emotiva. Ad esempio, il terapeuta potrebbe suggerire di pianificare consapevolmente momenti di “abbuffata” per prendere controllo del comportamento in modo controllato. Queste strategie creano uno shock cognitivo e comportamentale, portando il paziente a prendere consapevolezza del suo meccanismo automatico.
  3. Decostruzione del mito del controllo
    Nella psicoterapia strategica breve, si lavora anche per superare la convinzione che sia necessario un controllo totale sulle emozioni. L’idea che l’emozione debba essere completamente gestita per poter vivere in equilibrio è controproducente. Invece, il paziente viene guidato a capire che le emozioni sono parte integrante della vita umana e che imparare a viverle senza bisogno di “spegnere” il disagio con il cibo è una forma di vera libertà.

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Bibliografia

  • Baumeister, R. F., Heatherton, T. F., & Tice, D. M. (1994). Losing control: How and why people fail at self-regulation. Academic Press.
  • Gross, J. J. (1998). The emerging field of emotion regulation: An integrative review. Review of General Psychology, 2(3), 271-299.
  • Kristeller, J. L., & Wolever, R. Q. (2011). Mindfulness-based eating awareness training for treating binge eating disorder: The conceptual foundation. Eating Disorders, 19(1), 49-61.
  • Nardone, G. (2003). Psicotrappole: Come difendersi dalle proprie paturnie e vivere felici. Ponte alle Grazie.
  • Nardone, G. (2013). Oltre i limiti della paura: Superare rapidamente le fobie, il panico e l’ossessione. Ponte alle Grazie.
  • Nardone, G., & Portelli, C. (2005). Knowing through changing: The evolution of brief strategic therapy. Crown House Publishing.
  • Watzlawick, P., Weakland, J. H., & Fisch, R. (1974). Change: Principles of problem formation and problem resolution. W.W. Norton & Company.
  • Linehan, M. M. (1993). Cognitive-behavioral treatment of borderline personality disorder. Guilford Press.

Simona Lauri
Simona Lauri
Simona Lauri
Psicologa e psicoterapeuta breve strategica. Oltre che offrire interventi di psicoterapia breve, mi occupo di coaching alimentare e sportivo.

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