Lavoro e identità psichica: una riflessione psicosociale

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Lavoro e identità psichica: una riflessione psicologica per il Primo Maggio

 Il lavoro come dimensione fondativa dell’identità

Nel solco delle celebrazioni del Primo Maggio, festa del lavoro, emerge la necessità di riflettere non solo sull’aspetto politico-economico dell’impiego, ma anche sul suo valore psicologico. Il lavoro non è soltanto un mezzo di sostentamento: è, piuttosto, un asse portante nella strutturazione della personalità e dell’“immagine di sé”. Come sottolineava Erich Fromm (1955), l’uomo moderno non è ciò che è, ma ciò che fa. E in questo ‘fare’ egli si plasma, nel tentativo di essere riconosciuto e valorizzato.

Il lavoro come specchio dell’identità

Secondo la prospettiva psicoanalitica, già Freud riconosceva nel lavoro uno dei due pilastri fondamentali della salute mentale (insieme all’amore). Successivamente, Erik Erikson (1968) nella sua teoria delle fasi psicosociali, colloca il conflitto tra operosità e inferiorità nell’infanzia e quello tra generatività e stagnazione nell’età adulta, mostrando come il lavoro sia cruciale per il senso di competenza e produttività. Nel pensiero contemporaneo, Alain de Botton (2009) esplora l’ansia derivante dal lavoro, sottolineando come il giudizio sociale e la pressione alla realizzazione personale contribuiscano a un senso pervasivo di inadeguatezza. Il lavoro si trasforma così in una lente attraverso cui l’individuo osserva e giudica se stesso, in un eterno confronto con ideali spesso irraggiungibili.

Il disagio legato al lavoro: burnout, alienazione, ansia da prestazione

Nel panorama attuale, il disagio lavorativo assume molteplici forme: burnout, mobbing, precarietà, disoccupazione e ansia da prestazione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (2019) ha riconosciuto il burnout come sindrome occupazionale, descrivendolo come una condizione risultante da stress cronico non gestito con successo. L’alienazione, già teorizzata da Karl Marx, oggi si manifesta nel vissuto soggettivo di scollamento tra sé e mansione, tra valore personale e utilità economica, generando senso di vuoto e disconnessione emotiva. La costante necessità di performare, misurarsi, eccellere, porta molti individui a vivere il lavoro come un terreno ansiogeno, anziché come spazio di espressione del sé. Questo squilibrio tra fare e essere produce sintomi come insonnia, irritabilità, apatia, fino a veri e propri disturbi d’ansia e depressivi.

Terapia strategica e lavoro: strategie per sbloccare il sistema percettivo-reattivo

La terapia breve strategica (Nardone, 2003) considera il lavoro come uno dei contesti in cui si strutturano tentate soluzioni disfunzionali. Il soggetto in trappola può sviluppare meccanismi di controllo eccessivo, perfezionismo paralizzante, o evitamento, che mantengono lo stallo lavorativo. Le dinamiche si auto-alimentano: più si cerca di controllare la performance, più l’ansia cresce; più si evita il compito, più si consolida l’inadeguatezza. Tra le strategie efficaci, la prescrizione del peggioramento rompe la logica performativa, chiedendo al paziente di fallire deliberatamente per destrutturare la paura. La ristrutturazione percettiva invita a ridefinire il fallimento non come prova di inettitudine, ma come condizione creativa e inevitabile dell’esperienza lavorativa. La ritualizzazione del blocco consiste nel confinare temporalmente l’ansia in uno spazio predeterminato della giornata, riducendone la pervasività.

Terapia cognitivo-comportamentale: tecniche per la gestione del disagio lavorativo

La terapia cognitivo comportamentale (Beck, 1976) offre strumenti solidi per affrontare il disagio legato al lavoro. La ristrutturazione cognitiva permette di individuare e modificare pensieri automatici negativi come ‘non sono abbastanza bravo’ o ‘se sbaglio verrò licenziato’, responsabili del perpetuarsi di emozioni disfunzionali. Le tecniche di esposizione graduale, soprattutto in caso di evitamento, aiutano il soggetto ad affrontare progressivamente le situazioni ansiogene, riducendo l’intensità del sintomo. Il problem-solving strutturato consente di affrontare conflitti lavorativi o decisioni critiche in modo analitico e non impulsivo. Infine, il training assertivo permette di migliorare le dinamiche relazionali in ambiente professionale, prevenendo conflitti e favorendo il riconoscimento dei propri diritti psicologici nel luogo di lavoro.

Il lavoro come strumento di autorealizzazione e non solo di sopravvivenza

Rifacendosi alla piramide dei bisogni di Maslow (1943), il lavoro può rappresentare un mezzo di autorealizzazione, quando consente la piena espressione delle proprie potenzialità. Tuttavia, ciò richiede che siano soddisfatti i bisogni di sicurezza, appartenenza e stima. Quando il lavoro coincide con la vocazione, diviene fonte di significato e identità; quando, invece, è vissuto come mera sopravvivenza, il soggetto tende a sviluppare una visione meccanica e alienata del sé. Promuovere un rapporto sano con il lavoro implica ridefinire il concetto di successo come coerenza con i propri valori, favorire un equilibrio tra vita privata e professionale (work-life balance), e legittimare la fatica, la fragilità, la temporanea confusione.

Conclusione: una nuova etica del lavoro per il benessere psicologico

Nel giorno in cui si celebra il lavoro, è essenziale ridefinirne i contorni psichici e simbolici. Serve una nuova etica, capace di valorizzare la soggettività, l’esperienza interiore, e la possibilità di fallire senza stigma. Il lavoro non è solo produzione, ma anche significato, appartenenza, riflessione. Psicologicamente, ogni trasformazione nel mondo del lavoro deve essere accompagnata da una trasformazione nei paradigmi interiori: da homo faber a homo significans. Il lavoro, come espressione del sé, non può prescindere dal riconoscimento del valore umano, al di là delle metriche di efficienza e produttività.

Fonti principali

– Fromm, E. (1955). *Psicoanalisi della società contemporanea*.
– Erikson, E. (1968). *Identity: Youth and Crisis*.
– Beck, A. (1976). *Cognitive Therapy and the Emotional Disorders*.
– Maslow, A. (1943). *A theory of human motivation*.
– De Botton, A. (2009). *The Pleasures and Sorrows of Work*.
– Nardone, G. (2003). *Oltre i limiti della paura*.
– World Health Organization (2019). *Burn-out an

Simona Lauri
Simona Lauri
Simona Lauri
Psicologa e psicoterapeuta breve strategica. Oltre che offrire interventi di psicoterapia breve, mi occupo di coaching alimentare e sportivo.

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