Robopsicologia e robotica Educazionale: le nuove frontiere della Psicologia

Robopsicologia e robotica Educazionale: le nuove frontiere della Psicologia

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Robotica Educazionale: le nuove frontiere della Psicologia

Nonostante possa sembrare fantascienza, la Robopsicologia può aiutare le persone con BES e DSA…ma non solo….

Nonostante la natura fantascientifica del termine robopsicologia, le neuroscienze cognitive e l’intelligenza artificiale hanno fatto grandi passi nella creazione di robot che hanno la capacità di interagire con persone fragili o affette da disturbi.

Robopsicologia: definizione

La Robopsicologia è lo studio delle personalità delle macchine intelligenti. Il termine fu coniato per la prima volta da Isaac Asimov in una collezione di storie intitolata ‘Io, Robot’, dove si narra la storia della dottoressa Susan Calvin (una robopsicologa) impegnata nella risoluzione di problemi legati al comportamento di robot intelligenti. Le storie hanno altresì introdotto le famose

‘Tre leggi della robotica‘ di Isaac Asimov, le quali spiegano che:

Un robot non potrebbe mai offendere un essere umano, o mediante l’inazione, consentire ad un essere umano di ferire a sua volta;

Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, a meno che tali ordini non entrino in conflitto con la prima legge;

Un robot deve proteggere la propria esistenza finché la sua protezione non entra in conflitto con la prima e la seconda legge.

Queste tre leggi le ritroviamo incorporate in quasi tutti i robot positronici protagonisti del romanzo di Asimov, i quali si comportano in modo insolito e contro-intuitivo.

Successivamente sono state introdotte ulteriori leggi, per cui secondo la Quinta legge della Robotica “un robot deve sapere di essere un robot”: si presume che il robot possegga una conoscenza della definizione del termine, applicando così le Leggi della robotica alle sue azioni.Secondo questa legge, se un robot aggredisce o ferisce un essere umano, è perché non ha ben compreso di essere un robot (e quindi non ha consapevolezza).

I robot e l’intelligenza artificiale per come li conosciamo non obbediscono intrinsecamente alle leggi della robotica; i loro creatori umani devono programmarli ed escogitare un modo per farlo. Infatti molti robot sono provvisti di protezioni fisiche come paraurti, avvisatori acustici o zone ad accesso limitato studiati per prevenire incidenti. Perfino i robot più complessi, ad oggi sono incapaci di comprendere e applicare le Tre leggi della robotica, ma sulla Terra esistono oggi robot in grado di interagire con le persone in modo adeguato, esprimendo alcune emozioni di base.

La robopsicologia e i robot di supporto in casi di DSA e Autismo

Nonostante la natura fantascientifica del termine ‘robopsicologia‘, le neuroscienze cognitive e l’intelligenza artificiale hanno fatto grandi passi nella creazione di robot che hanno la capacità di interagire con persone fragili o affette da disturbi, in particolare sono stati creati robot con le sembianze di giocattoli, che interagiscono con bambini affetti da autismo, sotto la supervisione di un educatore, uno psicologo ed eventualmente un logopedista o un genitore. Questo nuovo campo di applicazione prende il nome di SAR, Social Assistive Robots.

Cos’hanno di speciale questi robot? In cosa consiste il loro utilizzo nell’ambito della psicopatologia?

L’autismo (in origine Sindrome di Kanner) è un disturbo per cui la persona affetta da tale patologia manifesta un comportamento caratterizzato da un significativo deficit dell’integrazione socio-relazionale e della comunicazione interpersonale. Le aree interessate dal fenotipo comportamentale sono la comunicazione verbale e non verbale, l’interazione sociale, l’immaginazione (e gli interessi), comportamenti ossessivo-compulsivi (ripetizione di movimenti stereotipati, ossessione per l’ordine e la simmetria), sensibilità a certe emozioni, reazioni emotive esagerate (collera,
aggressività sia etero che auto-diretta ed ansia) e l’incapacità di integrare i vari stimoli che provengono da canali sensoriali differenti (ad esempio, il bambino concentrato su un oggetto tende a non sentire l’adulto che lo chiama).

Ma, ritorniamo alla robopsicologia e vediamo l’utilizzo dei robot nell’interazione con questi bambini. Nel 2014, un team di ricercatori della USC Viterbi School of Engineering ha condotto uno studio pilota sugli effetti dell’utilizzo di robot umanoidi per favorire l’apprendimento di comportamenti di imitazione allo scopo di potenziare l’autonomia nei bambini affetti da DSA.

Lo studio, intitolato ‘Graded cueing feedback in Robot-mediated imitation practicefor children with autism spectrum disorder’, condotto da Maja Mataric e Chan Soon-Shiong Chair, si è concentrata su come la robopsicologia può aiutare le persone con bisogni speciali, compresi i soggetti con Alzheimer e il DSA. Nello specifico, in quest’esperimento, i ricercatori hanno analizzato come i bambini con DSA reagiscono ai robot umanoidi i quali forniscono loro istruzioni graduali, fornendo spunti e richieste via via sempre più dettagliati in modo da modellare il comportamento e ad aiutare nell’acquisizione di nuove abilità o recuperare quelle perse.

Mataric e il suo team hanno studiato 12 bambini con DSA ad alto funzionamento dividendoli in due gruppi, uno sperimentale e uno di controllo. Ogni bambino ha giocato ad un gioco copycat (d’imitazione) con un robot Nao, il quale ha chiesto al bambino di imitare 25 posizioni differenti del braccio.

I bambini che avevano ricevuto istruzioni variegate fino al raggiungimento della posizione giusta, mostrarono un netto miglioramento o una conservazione della prestazione, mentre i bambini che non avevano ricevuto le istruzioni diversificate, regredivano nella performance o questa rimaneva inalterata. Il robot Nao variava il modo in cui forniva le consegne: all’inizio offriva indizi solo verbali, poi forniva anche dimostrazioni e istruzioni verbali in modo sempre più specifico. Lo studio ha quindi dimostrato che un feedback diversificato è più efficace nell’aiutare i bambini con DSA ad acquisire nuove abilità in caso di prove fallimentari, riducendo quindi la frustrazione e l’ansia. Inoltre, lo studio ha dimostrato la riuscita dell’interazione del bambino con il robot.

A circa 9 mesi di vita il bambino comincia a sviluppare quella che gli studiosi chiamano attenzione condivisa (vedi Teoria della mente), un comportamento che consiste nel cercare e richiamare l’attenzione dell’altro, su un oggetto o un evento. I bambini con autismo però non sviluppano questa capacità in modo adeguato, con conseguente difficoltà relazionali e sociali, oltre che nell’ambito dell’apprendimento.

E’ stato dimostrato che i bambini con DSA mostrano uno spiccato interesse verso questi robot- giocattolo i quali non solo parlano (interagiscono) con il bambino, ma sono dotati di occhi che si illuminano di vari colori che rappresentano ciascuno un’emozione particolare (ad es. Il rosso esprime sorpresa, il colore blu simboleggia il senso di consapevolezza e il bisogno di conoscenza).

I bambini vengono educati a riconoscere i colori associati alle varie emozioni e quando in seguito alle istruzioni del robot il bambino esegue in modo corretto un’azione, quest’ultimo fornisce dei feedback, per cui il bambino apprende e si sente stimolato in modo positivo. Questi robot non manifestano mai la rabbia: i bambini con DSA sono molto sensibili alla collera e possono avere reazioni esagerate anche solo percependo un cenno da parte della persona che ha di fronte. Le tecniche cognitivo-comportamentali si prefiggono di promuovere, nei soggetti con autismo i comportamenti adattivi mediante interventi intensivi e programmati che possono essere adoperati sia dai terapisti che dai genitori. Questi robot sociali sono programmati con algoritmi comportamentali che consentono di esprimere un’interazione del tutto naturale, rassicurante e stimolante.

La Robopsicologia e l’utilizzo dei Robot educativi nel supporto a bambini con sindrome di Down e balbuzie

L’uso dei robot come strumenti educativi ha trovato impiego non solo nella cura dei bambini affetti da autismo, ma anche in quelli con sindrome di Down e balbuzie. In questi ultimi due casi è stato usato l’utilizzo di un sistema, il cosiddetto Lego Mindstorms, un robot mobile realizzato da Lego e costituito da tanti mattoncini cibernetici che, come nel caso dei robot umanoidi per l’autismo, interagivano con i bambini in modo diversificato. Anche in questo caso, le performance cognitive (tempi di attenzione) e comportamentali (il coinvolgimento spontaneo del robot ai giochi interattivi da parte dei bambini) dei bambini affetti da sindrome di Down e balbuzie, erano migliorate in modo significativo. L’elemento che ha reso così particolare il robot Lego Mindstorms (versione NXT) è una componente elettronica che si trova all’interno di ogni singolo mattoncino e che ne permette la suggestione: in altre parole, vi sono dei sensori e motori che permettono l’interazione con il mondo esterno. L’idea di fondo della robotica educazionale e della robopsicologia è che i robot sociali sono ‘oggetti-con-cui-pensare’, avviando quindi il loro utilizzo anche nell’ambito dell’apprendimento.

E’ stato dimostrato che l’interazione con i robot permette il miglioramento delle abilità visuo- spaziali e di ragionamento nelle sue forme (astratto e concreto), la motivazione all’apprendimento, la creatività e la fantasia (tramite l’assemblaggio dei pezzetti, scelta dei colori e invenzione delle forme); non solo. L’interazione con il robot-giocattolo stimola il pensiero narrativo. Il robot non viene solo visto e toccato, ma viene pensato e narrato come se fosse un essere vivente a tutti gli
effetti, quindi dotato di attributi umani, come le emozioni, stati mentali e la personalità.

La robopsicologia e i robot con abilità sociali si sono rivelati promettenti anche nell’ambito della riabilitazione e dell’assistenza agli anziani; per gli anziani con deficit cognitivi, i robot (anche non umanoidi) sono studiati per fornire esercizi che allenano la mente a ricordare di assumere i pasti, date importanti, prendere farmaci, cercando così di contrastare la degenerazione cognitiva e fornire un’alternativa alla solitudine.

Tali considerazioni sulla robopsicologia portano dunque a pensare l’uso dei robot sociali come una nuova risorsa per il lavoro dello psicologo.

Dott.ssa Miriam Melani

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    Miriam Melani
    Psicologa, Tutor dell'apprendimento. Da anni si occupa di attività disturbi dell'apprendimento (DSA e non), neuroscienze generali.

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