Sindrome di Peter Pan: l’uomo che non vuol crescere!
“Mi manderete a scuola?” chiese Peter Pan.
“Sì”
“E poi in ufficio?”
“Credo di sì”
“E presto sarò un uomo?”
“Molto presto”
“Ma io non voglio andare a scuola e imparare cose serie” disse stizzito “Io non voglio diventare un uomo. Oh mamma di Wendy, se un giorno dovessi risvegliarmi e accorgermi di avere la barba!”
Chi di voi non ha riconosciuto una delle conversazioni più famose del cartone animato “Le avventure di Peter Pan”?
Quando eravamo bambini ci sentivamo esattamente come lui, ma non avevamo la più pallida idea di quanta verità nascondessero queste parole!
COS’E’ LA SINDROME DI PETER PAN
Il primo a coniare l’espressione “Sindrome di Peter Pan“ fu lo psicologo Dan Kiley nel 1983, anno in cui uscì il suo libro “La sindrome di Peter Pan: uomini che non volevano crescere”. Kiley lavorò a stretto contatto con adolescenti problematici e poté constatare che molti di essi diventarono adulti che non erano in grado di accettare le responsabilità tipiche dell’età.
Lo studioso identificò alcune caratteristiche di base della Sindrome di Peter Pan:
- disoccupazione cronica: persone che si rifiutano di cercare un lavoro o che vengono continuamente licenziate a causa di assenteismo o per cattiva condotta;
- non si impegnano nella condivisione dei lavori di casa: nonostante siano sposati e abbiano dei bambini, spendono gran parte del loro tempo davanti ai videogames mentre il partner lavora, pulisce e si prende cura dei figli;
- si affidano ad altri affinché gestiscano le finanze: tendono a non contribuire alle spese di casa o che riguardano la cura dei figli
- non si svincolano dalla famiglia: queste persone tendono a rimanere a casa con i genitori malgrado le opportunità di guadagnarsi soldi, trovare un lavoro o andare a vivere per conto proprio.
Secondo Kiley, il rifiuto di crescere affligge soprattutto i maschi mentre molte donne -con il complesso di Wendy– più o meno intenzionalmente, si prendono cura dei propri uomini alimentando l’evitamento delle responsabilità in un circolo vizioso senza fine.
Altri comportamenti tipici della Sindrome di Peter Pan includono l’incapacità di esprimere adeguatamente le proprie emozioni e di impegnarsi seriamente in relazioni interpersonali e impegni sociali. Inoltre, tendono a fare scelte sulla base delle emozioni e dello stato d’animo, del tipo “Lo farò solo se mi va o se mi piace”, per cui mancherebbe una visione lungimirante e utilitaristica delle motivazioni.
E’ importante non confondere la sindrome di Peter Pan con i classici comportamenti infantili. Tutti noi possiamo scherzare, comportarci in modo bambinesco di tanto in tanto, più per comicità che per altro.
Il più delle volte, questi individui non sono consapevoli del problema mentre anche solo il fatto di averne una piccola percezione potrebbe essere il preludio a un futuro cambiamento.
BIOGRAFIA DELL’UOMO PETER PAN
Le cause dei sintomi della Sindrome di Peter Pan sono molteplici.
Traumi infantili, un’educazione improntata sulla sfida e la competizione, abusi ecc. Spesso la causa risiede in uno stile genitoriale orientato all’accontentare sempre il bambino, a viziarlo, lasciandogli dentro la sensazione che tutto sia permesso e soprattutto una mancata percezione dell’errore. Mentre uno stile educativo iperprotettivo può portare il bambino a non acquisire le capacità di coping e di regolazione emozionale che, invece, sono indispensabili in età adulta, vale a dire saper imparare dai propri errori e mantenere un certo autocontrollo sulle proprie azioni e reazioni.
Riportiamo le caratteristiche di una persona con Sindrome di Peter Pan (Luca) attraverso il racconto di Elisa, una ex-collega di lavoro:
“Tendo ad essere un’osservatrice acuta, mi guardo intorno, leggo il linguaggio del corpo delle persone, traggo deduzioni dai loro comportamenti. Ho lavorato per un periodo con Luca in un negozio d’abbigliamento. Lui aveva (ha) solo qualche anno più di me -io 35 lui 38- e dal primo giorno che lo conobbi mi accorsi che nella sua personalità qualcosa non andava….ho per questo avuto dei problemi a relazionarmi con lui.
Non erano semplici comportamenti infantili e giocosi, era qualcosa di più grave, di più profondo. Lo rendeva grave il fatto che sembrava non avesse alcuna consapevolezza dei suoi comportamenti dannosi.
Metteva in atto inutili azioni competitive anche quando non era necessario, quasi come se ad ogni mia azione dovesse corrispondere una gara; ogni volta che commetteva un errore o una svista, inventava bugie e dava la colpa a qualcun’altro, la chat di lavoro per lui era un luogo virtuale ricreativo (si lamentava perché parlavamo solo di lavoro e non si scherzava mai!), portava rancore e risentimento se non riusciva ad ottenere un privilegio o abbastanza attenzioni dai capi, spesso aveva comportamenti passivo-aggressivi (allusioni, favori dimenticati, dispetti), a volte mi faceva sentire in colpa di ciò che avevo…“tu però lavori un giorno più di me, non è giusto!” e altre cose simili. Sembrava di avere a che fare con un’adolescente.”
Ciò che racconta Elisa delinea solo alcuni tratti della personalità Peter Pan. Ciò che emerge è che vi sono persone che vedono il mondo (come ad es. il luogo di lavoro) non come un’occasione di crescita personale, ma come un asilo in cui i bambini devono gareggiare tra loro e accattivarsi le attenzioni della maestra.
In particolare la mancanza della percezione dell’errore è ciò che più di significativo c’è nella personalità di Katia, che per estensione comporta egoismo e mancanza di empatia nei confronti del prossimo.
Alcune caratteristiche della Sindrome di Peter Pan si possono ritrovare in disturbi di personalità come il narcisismo e la dipendenza affettiva.
Esistono delle differenze di genere? Come si comporta il Peter Pan nella sfera lavorativa? E’ possibile uscire da questa condizione di eterni bambini? Leggi il mio articolo
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