Intelligenza emotiva e successo nella vita.
Sopraffatti dalle vostre emozioni a tal punto da aver detto o fatto cose di cui poi vi siete pentiti?
Il concetto di intelligenza emotiva affonda le radici negli anni ’30 del novecento quando lo psicologo Edward Thorndike coniò il termine “intelligenza sociale” come la capacità delle persone di socializzare, creare legami, integrarsi nei gruppi e andare d’accordo.
Intorno agli anni ’40, lo psicologo David Wechsler ipotizzò l’esistenza di varie componenti affettive dell’intelligenza funzionali al conseguimento del successo nella vita, costruendo le scale di valutazione dell’intelligenza che tutti noi oggi conosciamo.
Fino alla fine degli anni ’60 tuttavia si pensava che l’intelligenza fosse una facoltà unitaria che consentiva all’individuo di adattarsi all’ambiente, di ragionare, di perseguire uno scopo a lungo termine, di autocorreggersi e così via.
Intorno agli anni ’70 grazie agli studi condotti dallo psicologo Howard Gardner inizia a farsi strada una nuova concezione di intelligenza.
Essa non più intesa come fattore generale ma come “intelligenze al plurale” (musicale, linguistica, corporea, spaziale e matematica)
Saranno però gli anni ’80 a decretare la scoperta dell’intelligenza emotiva.
Verrà più ampiamente studiata e presa in considerazione nei vari contesti di vita quotidiana a partire dagli anni ’90 con gli studi di Salovey e Mayer.
La capacità di esprimere e controllare le proprie emozioni è fondamentale, ma lo è ancora di più capire, interpretare e rispondere alle emozioni degli altri.
Immaginatevi un mondo in cui le persone non sono in grado di capire quando un amico è triste o quando un collega di lavoro è arrabbiato.
Gli psicologici chiamano questa abilità “intelligenza emotiva” (EI-emotional intelligence).
Secondo Salovey e Mayer, l’intelligenza emotiva si manifesta in quattro dimensioni:
“Puoi essere nessuno nella vita, ma essere un buon genitore o un buon leader, è il più grande successo che puoi ottenere”.
Ovvero, perché è importante sviluppare l’intelligenza emotiva.
In famiglia, un genitore è un leader (dall’inglese to lead- condurre, guidare), i figli il suo piccolo team. Alcuni studi americani dimostrano che le famiglie caratterizzate da un alto livello di intelligenza emotiva presentano le seguenti caratteristiche:
Daniel Goleman ha condotto studi sull’intelligenza emotiva nel mondo del business per oltre un ventennio.
Secondo lo studioso essere un leader emotivamente intelligente non è solo questione di gentilezza, di simpatia o di saper parlare bene.
E’ qualcosa di estremamente complesso e richiede alcuni requisiti di base come la consapevolezza emozionale, l’autocontrollo emotivo e la duttilità.
Alcuni studi americani hanno dimostrato che le squadre di lavoro di leader con un alto livello di consapevolezza emozionale, erano più energiche e con livelli di performance elevati.
Per quanto riguarda l’autoregolazione emozionale, studi australiani hanno dimostrato che la buona gestione delle emozioni porta a risultati migliori in termini di produttività, qualità del lavoro e profitti.
Anche la flessibilità e la capacità di adattarsi ai cambiamenti, affrontare in modo ragionevole e positivo i conflitti e i periodi critici, portano non solo a performance migliori ma anche ad un aumento delle vendite nel lungo periodo.
Mentre il QI misura le innate abilità logiche e di ragionamento di una persona comparate con una popolazione normativa di riferimento (misure standardizzate).
L’IE è un’abilità che si apprende e si migliora con il tempo.
Ad esempio, nascere con una predisposizione per il ragionamento matematico o per l’apprendimento linguistico può assicurare un successo scolastico o professionale.
Quante volte abbiamo avuto un capo molto preparato nel suo lavoro ma che ci ha deluso a livello comunicativo e relazionale fino a farci perdere la motivazione al lavoro?
Studi scientifici hanno dimostrato che il benessere psicologico ed emotivo dei collaboratori (o sottoposti) era maggiore se il leader sapeva ispirare, collaborare, co-costruire e appassionare.
Ad un più alto livello di benessere psicologico dei lavoratori corrispondeva una maggiore qualità del lavoro svolto, con migliori risultati e più produttività.
Proporre invece che comandare, coinvolgere in un progetto comune, saper individuare il collaboratore più idoneo a cui delegare un compito: sono tutte doti che fanno di un semplice manager un grande leader di successo.
Quante volte abbiamo assistito ai fallimenti genitoriali a livello comunicativo o di gestione dei conflitti? e quante volte abbiamo visto allenatori sportivi essere sollevati dal loro in carico e sostituiti?
In psicoanalisi, l’empatia è la capacità di immedesimarsi nell’altro “[…] meccanismo mediante il quale ci è comunque possibile prender posizione nei confronti di un’altra vita psichica.” (Galimberti, 1999, p.364), una capacità che secondo Kohut (Lis et al. 1999) è innata, “[…] equivale a una fusione totale con lo stato emotivo dell’altro”, rintracciabile nel primario rapporto madre-neonato.
Secondo questa teoria, l’empatia getta le basi per la buona costruzione di un’intelligenza emotiva, anche in età adulta, ma da sola non basta.
Recentemente è andato sempre più aumentando l’interesse per l’insegnamento e l’apprendimento dell’intelligenza emotiva.
SITOGRAFIA E BIBLIOGRAFIA
http://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/download?doi=10.1.1.385.3695&rep=rep1&type=pdf
https://www.ihhp.com/meaning-of-emotional-intelligence
https://www.linkedin.com/pulse/emotional-intelligence-myth-vs-fact-daniel-goleman/
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5779938/ (sulla famiglia)
https://positivepsychologyprogram.com/emotional-intelligence-eq/
https://www.6seconds.org/2018/02/27/emotional-intelligence-tips-awareness/
Galimberti U. Psicologia, Garzanti Editore (1999)
Gillibrand R. et al. Psicologia dello sviluppo, Pearson (2013)
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