Essere genitore di un figlio con disabilità: alcune riflessioni

Essere genitore di un figlio con disabilità

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Essere genitore di un figlio con disabilità

La nascita di un figlio è un momento in cui si sperimenta un grande amore e un’immensa gioia.

La nascita di un figlio è anche però un evento “critico” perché porta la coppia ad affrontare una serie di situazioni che richiedono una ristrutturazione del rapporto di coppia e delle abitudini familiari.

 In genere, dopo una prima fase di disorganizzazione e smarrimento, la coppia ritrova un suo equilibrio e riesce ad integrare il piccolo nel sistema, che da diadico diventa triadico (Larcan, 2016).

Ma cosa succede quando alla criticità insita nella nascita di un figlio si aggiunge l’elemento della disabilità?

Durante la gravidanza tutti i genitori sperano e si aspettano che il loro bambino sia sano, bello, forte e pieno di vita e sognano per lui un futuro sereno.  Nel momento in cui però si arriva alla conoscenza della disabilità del proprio bambino, le precedenti aspirazioni vengono messe in crisi e oltre alle reazioni emotive bisogna affrontare difficoltà di natura sanitaria e sociale.

Avere un figlio con una disabilità segna significativamente l’identità  del genitore e il processo psicologico che porta dalla crisi iniziale all’accettazione della disabilità risulta complesso.

Numerosi studi hanno messo in evidenza notevoli differenze nei tempi e nelle modalità con le quali si realizza il processo di accettazione e di adattamento alla disabilità di un figlio: il tipo di disabilità diagnosticata, il livello di gravità, le previsioni di sviluppo e il tipo di complicanze ad essa connesse.

Altrettanto rilevanti sono le modalità di reazione dei genitori e le loro caratteristiche cognitive, emotive, socio-relazionali ed esperienziali, considerate sia individualmente, sia come coppia (Rispoli, 2004). È stato inoltre osservato come la famiglia, anche in termini di famiglia allargata, possa, a seconda dei casi, rappresentare un importante fattore di vulnerabilità oppure una straordinaria risorsa. Un peso rilevante è dato infine dalla possibilità di usufruire di un adeguato sostegno sociale in termini di servizi di supporto sanitario, psicologico e sociale al bambino e alla famiglia (Cuzzocrea, Larcan, 2011).

Un genitore, soprattutto nelle fasi iniziali della diagnosi, necessita di essere accompagnato nel processo di accettazione della disabilità del proprio figlio. Possono infatti essere diverse le reazioni di fronte alla rivelazione del deficit. Le modalità difensive nei genitori seguono solitamente 3 fasi (Gargiulo, 1987):

  • prima fase: fase dello “shock” ossia incredulità, smarrimento, intontimento, impotenza, rifiuto, diniego, dolore, depressione.
  • seconda fase: ambivalenza, senso di colpa, rabbia, vergogna, rabbia, imbarazzo.
  • terza fase: patteggiamenti con la realtà, adattamento e riorganizzazione, accettazione e adattamento.

Sempre più si conferma, quindi, la necessità di consulenza, di supporti psicologici e sociali rivolti alle famiglie con bambini con difficoltà, affinchè i genitori, che sono guida del bambino, siano a loro volta guidati in questo ruolo difficile.

Il processo di accettazione del bambino diverso da quello pensato nell’attesa del suo arrivo comporta un reinvestimento. Accettare però è possibile.

È possibile se i genitori di un figlio con disabilità, prima ancora di  percepirsi genitori di un bambino/ragazzo disabile, riescono a percepirsi genitori di un bambino in quanto persona. Ciò implica un riconoscimento di sé e del proprio figlio come persona e, di conseguenza, un riconoscimento dei bisogni di una persona in quanto persona.

I percorsi che possono essere attuati sono:  (Colella, Taberna, 2006; Nisi, Ceccarani, 1994)

  • psicoeducazione sulle modalità di accudimento del proprio bambino, anche quando le azioni necessarie sono complesse e possono generare ansia;
  • sostegno psicologico che contribuisce a:
  • favorire la consapevolezza delle proprie difese;
  • contribuire a mantenere unita la coppia;
  • favorire la capacità di osservazione e di ascolto del bambino reale;
  • aiutare a costruire una valida relazione di attaccamento.
  • confronto e sostegno con altre famiglie;
  • consulenza sull’adeguamento degli ambienti di vita e sulla prospettiva del “dopo di noi”;
  • attenzione alla presenza degli altri eventuali figli.

In un percorso a sostegno della genitorialità, i genitori si sentono visti, considerati, capiti, accolti e sentono che qualcuno si prenderà cura di loro; prendono, inoltre, consapevolezza della possibilità di riuscire essi stessi ad avere un controllo della situazione e di aumentare il potere di gestione della nuova situazione (empowerment) a seguito dell’handicap del figlio.

Quanto più rapidamente i genitori arriveranno a comprendere di cosa ha bisogno il bambino e come comportarsi con lui e quali sono le sue potenzialità, tanto meno si metterà a rischio il suo sviluppo.

Tuttavia, non è facile affidarsi da parte dei genitori, in certi casi, perchè gli psicologi appartengono a quello stesso sistema sanitario cui i genitori possono attribuire, consapevolmente o meno, una responsabilità per non aver saputo prevedere il danno del bambino e per non possedere cure risolutive della disabilità.

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