Mutismo elettivo: aiuto mio figlio non parla! Cosa fare?
S. ha sette anni e a casa è una vera e propria “valanga”. Gioca, parla di continuo, urla e litiga animatamente con il fratellino. A scuola, con le maestre e i suoi compagni, invece, nessuno conosce la voce di S. Di fronte alle domande delle insegnanti e dei compagnetti, S., si irrigidisce e risponde con il silenzio. Un’ansia fortissima prende il sopravvento nel bambino e di fronte ai numerosi inviti da parte delle maestre a superare la “timidezza” e a parlare, S., si rinchiude in un silenzio ancora più difficile da superare.
Cosa è il mutismo elettivo e come si manifesta
Per mutismo elettivo si fa riferimento ad un disturbo dell’età evolutiva la cui principale caratteristica risiede nel rifiuto, da parte del bambino, di parlare ed esprimersi, entro particolari contesti e situazioni sociali (a scuola, di fronte ad estranei…). Il bambino, dunque, mostra una vera e propria paura di parlare.
Generalmente, infatti, il bambino, parla e si esprime senza alcuna inibizione a casa mentre mostra un blocco totale nel momento in cui si trova ad interfacciarsi con gli insegnanti a scuola o con estranei. Il disturbo, inoltre, non è causato da deficit nella abilità di comprensione del linguaggio parlato e scritto e non è connesso a disturbi quali ritardo mentale e disturbi organici. Il mutismo elettivo, insorge solitamente intorno ai 3 anni circa, con comportamenti quali timidezza eccessiva, forte attaccamento nei confronti della figure genitoriali, tendenza all’isolamento. Con l’ingresso del bambino nella scuola materna o elementare questi comportamenti, che passavano prima “inosservati” e giustificati come “timidezza”, finiscono col rendere “problematica” la vita del bambino.
E’ importante precisare, che spesso, non è tanto il rifiuto da parte del bambino di parlare che crea il problema, quanto piuttosto i tentativi messi in atto da parte degli adulti (genitori, insegnanti) per cercare di sollecitare il bambino a uscire dal suo silenzio.
GLI ERRORI DA EVITARE
– Sollecitare, invitare costantemente il bambino a parlare: questo comportamento, infatti, non farà altro che inibire il bambino che si rinchiuderà maggiormente in un assordante silenzio.
– Chiedere al bambino spiegazioni sul motivo del suo silenzio
– Incrementare le attenzioni nei confronti del bambino: capita, spesso che genitori e insegnanti, armati di buone intenzioni, rivolgano la loro attenzione al piccolo che, in risposta a questo non desiderato porsi al centro della scena, finirà col chiudersi ancora di più in se stesso
– Etichettare il bambino come vittima di un problema: parlare continuamente del problema del piccolo, non fa altro che creare il caso col rischio di “affibbiare” al bambino un’etichetta con tutte le conseguenze psicologiche e sociali che ne derivano.
– Usare punizioni o invitare il bambino a parlare promettendogli giochi o premi: nel primo caso, si contribuisce ad innalzare i livelli di ansia del bambino, spingendolo molto più nella situazione di mutismo, nel secondo caso, invece, si commette l’errore di associare l’importanza della comunicazione su aspetti materiali e, oltretutto, nella maggior parte dei casi, a “cedere” è frequentemente l’adulto, il quale finisce col premiare il bambino anche quando questo non ha parlato, perdendo di autorevolezza.
CONSIGLI
Tra i numerosi consigli e suggerimenti da adottare nel tentativo di gestire un disturbo di questo tipo, riporto quelli considerati a mio parere più importanti:
- Incoraggiare, inizialmente, la comunicazione non-verbale. Rispetto a quanto si credeva in passato, cercare, almeno in una prima fase, di entrare di relazione col bambino attraverso gesti, oggetti, simbolini, si è visto che aiuta il bambino a sperimentare un maggior senso di sicurezza.
- Sostenere e supportare il rapporto coi pari, in particolar modo, individuando quei coetanei che possono stimolare la socializzazione del bambino. Introdurlo in attività, in piccoli gruppi, dove non è necessariamente richiesto partecipare attraverso la comunicazione verbale.
- Piccole frustrazioni, ovvero, compiere quelli che possiamo definire “errori sistematici”, per esempio, sul nome del bambino, sul colore del suo maglione, sulla sua età ecc… E’ importante che, subito dopo aver commesso l’errore voluto, l’adulto sposti l’attenzione da un’altra parte (parlare con un altro bambino, continuare a svolgere la propria attività ecc..) senza dare al bambino, eventualmente, il tempo materiale di rispondere per portare le correzioni. In questo modo, il bambino verrà messo di fronte a tante piccole frustrazioni che contribuiscono a creare nel bambino la spinta a correggere l’errore e dunque a parlare, senza che sia stato sollecitato in prima persona a farlo.
- Un’altra “opzione” utilizzata in alternativa o parallelamente alla precedente, consiste nella cosiddetta ristrutturazione con connotazione positiva e la prescrizione del sintomo. Il genitore o l’insegnante, vengono invitati a usare una particolare manovra comunicativa. Più precisamente, viene chiesto agli adulti di dire al bambino di continuare a mantenere il suo silenzio, dal momento che, questo, si mostra utile per dare la possibilità agli altri di potere parlare.
Bibliografia
- Nardone G., Fiorenza A., L’intervento strategico nei contesti educativi, Giuffrè editore, Milano
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