Abuso infantile, violenze e traumi: da abusato ad abusante?

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Abuso infantile, violenze e traumi: da abusato ad abusante?

“I ricordi e le esperienze particolari di una persona sono come singole perline che possono assumere continuità e forma solo quando sono legate insieme a formare una collana. Il filo con cui sono assemblate è la costante esistenza del bambino nella mente dei genitori, che rappresenta la continuità con cui i granuli di esperienza sono legati insieme e formano la collana di una vita connessa”

Bach Scheldon

L’abuso infantile è un argomento spesso indicibile perché innegabilmente causa reazioni di rifiuto e incredulità in chi le ascolta. La letteratura sulle conseguenze dell’abuso infantile è vasta, ma cosa spinge un genitore ad essere violento con il proprio figlio?

 

Quando parliamo di abuso infantile non dobbiamo pensare solo a quello fisico o sessuale . La Dott.ssa Felicity de Zulueta nel testo “Dal dolore alla violenza” (1999) classifica quattro tipologie di abuso infantile:

  • Trascuratezza intesa come la mancanza di soddisfacimento dei bisogni di base del bambino
  • Abuso psicologico, più difficile da misurare perché fa riferimento alle continue pressioni e/o svalutazioni del genitore verso il figlio
  • Abuso fisico inteso come tutte le forme di danno fisico inflitte al bambino
  • Abuso sessuale secondo alcuni, terapeuti compresi, l’incesto creerebbe piacere al bambino in quanto modo per ottenere attenzioni dal genitore, portando quindi a comportamenti che colluderebbero con le richieste di questo.

Abuso infantile: siamo esseri violenti, o la violenza è frutto delle nostre prime relazioni?

Secondo le teorie innatiste la violenza dipenderebbe da fattori genetici, e quindi il ruolo dei genitori avrebbe ben poca importanza nello sviluppo dei tratti e della personalità del figlio. In un recente lavoro del Colorado Adoption Project si è dimostrato che i bambini che sono lasciati in adozione da genitori che successivamente divorzieranno sviluppano problemi di adattamento anche se vengono adottati da famiglie che poi non divorzieranno (Fonagy, Gergely , Jurist , Target; 2005). Molti psicologi sembrano concordare con l’idea che la violenza dell’uomo sia dipendente da fattori genetici.

M. Klein

La psicoanalista M. Klein, sulla base degli studi del maestro S. Freud, ritiene che la pulsione di morte, manifestandosi sotto forma di invidia, tenda ad appropriarsi dell’oggetto buono, che è il seno ed il contenuto del corpo materno, e a distruggere con ogni mezzo l’oggetto cattivo, la madre (Klein,1930). Questo momento riconosciuto dall’autrice come posizione schizoparanoide, lascerebbe il posto alla posizione depressiva ovvero il momento in cui il bambino prendendo consapevolezza della sua azione distruttiva verso l’oggetto che più lui ama (la madre), prova un forte senso di colpa e ad ansie paranoidi. Secondo la Klein, quindi, l’aggressività avrebbe origine dall’incapacità dell’uomo a gestire l’aggressività verso gli altri, e quindi di una persistente manifestazione dell’ istinto di morte. La ricerca più recente ha dimostrato come in realtà la violenza negli esseri umani dipenda principalmente dalla qualità delle primissime relazioni che il bambino costruisce con il proprio caregiver.

Attaccamento

A partire dagli studi della Dott.ssa Mary Ainsworth si è potuto osservare che bambini con attaccamento sicuro sviluppano un’immagine di sé coerente e stabile, e ciò garantisce un controllo della relazione favorendo la mentalizzazione. Con il termine mentalizzazione si intende la capacità del bambino, che inizierebbe già all’età di un anno e non di quattro o cinque anni come ritenuto in passato (E. Jurist, di rappresentarsi lo stato mentale (inteso in termini cognitivo-emotivo) proprio e altrui. Questa capacità è correlata al tipo di attaccamento che il bambino sviluppa. Fonagy (2005) mette in evidenza come un attaccamento disorganizzato possa essere predittivo per un arresto dello sviluppo della mentalizzazione e ciò porterebbe a un’impossibilità di prevedere gli stati mentali e comportamentali dell’altro.

L’incapacità di mentalizzare esporrebbe la persona a sviluppare relazioni disfunzionali e insoddisfacenti, e c’è anche una correlazione tra incapacità a mentalizzare e sviluppo borderline di personalità. Non riuscendo a rappresentarsi lo stato mentale dell’altro, questo viene disumanizzato e visto come “oggetto” che permette di soddisfare il proprio bisogno e le proprie necessità. Infatti una delle tematiche ricorrenti di pazienti con questa personalità è proprio l’abuso che hanno subito durante l’infanzia. Per difendersi da questi attacchi esterni, la persona utilizza una serie di difese che l’aiuterebbero a “sopportare” l’evento traumatico, l’abuso infantile in questo caso.

La dissociazione come difesa del Sé traumatizzato

dissociazioneUna delle difese utilizzate da chi ha subito un abuso infantile è la dissociazione. Questo meccanismo permette alla persona di distaccarsi emotivamente dall’esperienza, influenzando negativamente la capacità di ricordare l’evento. Le persone che hanno utilizzato la dissociazione in occasioni di violenza o abuso tenderanno a “cristallizzarsi” in questa condizione, cosicché ogni esperienza che potrebbe essere potenzialmente traumatica, o che inconsciamente attiva il ricordo di una violenza subita, l’affronteranno distaccandosi da quello che sta loro accadendo. Chi osserva dall’esterno, non sospetta mai una dissociazione se un amico dimentica improvvisamente un grave episodio o appare inspiegabilmente cambiato. È portato a concludere che il suo conoscente sia di cattivo umore o instabile (Mc Williams, 1999).

La dissociazione porta infatti a un’incapacità di ricordare gli eventi e questo condiziona le persone a sottovalutare l’effettiva gravità di quello che hanno subito. Per esempio, durante un abuso che una donna subisce dal proprio partner, questa tende a dissociarsi non credendo a quello che le sta accadendo. Nella calma che segue queste donne perdonano il partner, dimenticando si riconciliano a lui. Il mancato ricordo e l’incredulità paradossalmente rinforzano il legame tra vittima e carnefice. Questo bisogno di non perdere l’oggetto d’amore, si può osservare anche nel bambino abusato. Nel tentativo di mantenere il genitore vicino a sé, in quanto ha un disperato bisogno del suo amore, il piccolo scinde le due immagini: il genitore buono che lo ama, e il genitore cattivo che lo odia. Questa difesa è conosciuta con il nome di scissione molto presente ancora una volta nei pazienti borderline.

Le conseguenze dell’abuso infantile nella vita adulta

abuso infantileLe persone vittima di abuso infantile  hanno maggiori probabilità di sviluppare disturbi psichiatrici o di personalità. Nel tentativo di “riappropriarsi” del proprio corpo abusato, la vittima mette in atto comportamenti rivolti verso il Sé cioè atti autopunitivi come tagliare parti del proprio corpo. Il corpo diventa l’unica cosa che possiedono ed è la manifestazione di uno stato psicologico di profonda sofferenza.

Fortunatamente molte persone abusate nell’infanzia hanno la possibilità di sviluppare relazioni future normali che favoriscono la crescita della fiducia verso gli altri restituendo un’immagine di Sé come persona degna di amore, ma per altre questo non è possibile, a causa dell’ambiente deviante nel quale continuano a vivere. Queste ultime riattualizzeranno la violenza subita dai propri genitori, per un apparente senso di potere e rivincita acquisita, identificandosi così con il carnefice anche se questo è un comportamento che si osserva maggiormente nell’uomo, la donna veste più i panni della vittima, instaurando relazioni con partner violenti (la motivazione inconscia è sempre quella di rivivere l’esperienza traumatica per controllarla).

Spesso sono persone che si isolano, risultano molto spaventate da quello che succede intorno a loro e vivono dei flashback dell’evento terrorizzante. A conferma di quanto detto, la ricerca in neurobiologia mostra che l’esposizione ad un evento traumatico produrrebbe una dissociazione tra i due emisferi.

Ulteriori studi

Lo studioso Rauch (1996) usando la tomografia a emissione di positroni (PET), ha osservato che i soggetti traumatizzati che si trovano di fronte ad uno stimolo che possa rievocare quell’ evento, si registra un cambiamento del flusso sanguigno con decremento nell’area di Broca nell’emisfero sinistro (l’area della parola) e un aumento del flusso nella corteccia visiva destra.

Questa condizione può ben spiegare la causa dei pensieri intrusivi e flashback (che dipendono dall’attività della corteccia visiva) e dell’incapacità a trovare “le parole giuste” per raccontare l’abuso (inibizione dell’emisfero sinistro). Lo studio della dissociazione tra i due emisferi ha portato negli ultimi anni all’uso della tecnica di Francine Shapiro (1995) l’ EMDR Eye Movement Desensitisation and Reprocessing. Durante il trattamento il paziente deve rievocare l’ evento traumatico mentre il terapeuta lo sottopone a stimolazione bilaterale degli emisferi attraverso rapidi movimenti oculari. La riduzione dei livelli di ansia può essere ricondotta allo ristabilimento della funzione integrativa dei due emisferi.

Cristina Lo Bue, Psicologa

Bibliografia

  • Felicity de Zulueta “Dal dolore alla violenza. Le origini traumatiche dell’aggressività” Raffello Cortina Editore, 1999
  • Nancy McWilliams “La diagnosi psicoanalitica” Astrolabio,1999 – Fonagy P., Gergely G., Jurist E.L, Target M. “Regolazione affettiva mentalizzazione e sviluppo del sé” Raffaello Cortina 0Editore, 2005
  • Bach Scheldon “On being forgotten and on forgettimg one’s self” In Psychoanalytic Quarterly, 2001 – Jurist E., Slade A., Bergner S. “ Da mente a mente. Infant research, neuroscienze e psicoanalisi”, Raffaello Cortina editore, 2010

Cristina Lo Bue
Cristina Lo Bue
Cristina Lo Bue
Psicologa Clinica, specializzata nell’attività clinica individuale e di gruppo. Specialista in dipendenze senza sostanze e Gioco d’Azzardo Patologico.

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