Paura del cambiamento: perché cambiare spaventa? In natura tutto cambia: le stagioni si alternano, gli esseri viventi nascono, crescono e muoiono, le città si trasformano, i bambini imparano gradualmente a diventare autonomi, la tecnologia fa progressi….si potrebbe continuare all’infinito, eppure per quanto naturale sia il fenomeno del cambiamento, il nostro sistema nervoso reagisce ad esso nello stesso modo in cui reagisce davanti a uno stimolo che incute paura.
Curiosamente, se andiamo a cercare i sinonimi di cambiamento troviamo: mutazione, trasformazione, metamorfosi, novità, evoluzione, riforma, cambio, correzione, miglioramento….tra i suoi contrari troviamo involuzione, peggioramento, regresso….sembrerebbe proprio che non ci sia niente di spaventoso nel cambiamento, ma vediamo un po’ che cosa succede nel nostro cervello quando ci troviamo di fronte alla possibilità di cambiare.
Paura del cambiamento: perché cambiare spaventa? Neurobiologia della paura
Quando gli esseri umani e gli animali si trovano davanti a uno stimolo percepito come una minaccia, usano la stessa reazione di immobilità e inerzia. Questa reazione è involontaria, ciò significa che i meccanismi che governano questa reazione si trovano nelle parti più primitive del sistema nervoso e sfuggono al controllo cosciente.
Come sostiene Levine il nostro cervello è uno e trino, cioè costituito da tre parti fondamentali: cervello rettile (istintivo, coinvolto nell’esplorazione, nella consumazione e nella difesa) cervello limbico (emozionale, implicato nell’accudimento, nella cura e nella competizione) e neocorteccia (razionale, deputato al ragionamento, controllo degli impulsi, apprendimento e così via ).
Nello specifico vi è un sistema di strutture cerebrali (il circuito della paura) che si attiva quando le persone sono in ansia o hanno paura di qualcosa (compresa la paura del cambiamento)
Possiamo notare la corteccia orbitofrontale generalmente associata alla rabbia, il giro cingolato alla tristezza e l’amigdala alla paura. Studi consolidati di neuroscienze hanno dimostrato che l’amigdala è attiva sin dalle prime settimane di vita del bambino e può bastare anche solo un evento spaventoso a consolidarne la memoria (inconscia) a lungo termine.
Finché il sistema rettiliano è in azione, tutto ciò che succede è inconscio, ovvero non mediato da alcuna riflessione neanche di natura emozionale. Il panico diventa cosciente solo quando le operazioni di difesa vengono integrate nel sistema limbico. A questo punto dalle azioni istintive di difesa si passa alle emozioni coscienti di panico e paura. Quindi è il sistema limbico (la principale struttura adibita al la registrazione emozionale è l’amigdala) quello che ci permette di percepire o di sentire una sensazione di benessere o malessere.
Il cervello rettiliano agisce con un meccanismo automatico di fight or flight (lotta o fuggi) tipico degli animali; per gli esseri umani aderire a una delle due scelte per sopravvivere non è sempre possibile. Una struttura cardine molto attiva durante condizioni di stress e panico è il locus ceruleus, che rilascia noradrenalina soprattutto quando stimolata da suoni, odori, immagini (anche mentali), gusti che rievocano determinati ricordi ed emozioni.
Anche l’ansia è una forma di apprensione esagerata nei confronti di un pericolo.
La principale differenza tra ansia e paura è che la prima si scatena anche quando lo stimolo fobigeno non è presente ma solo immaginato o atteso. Quindi se sto attraversando la strada e vedo alla mia destra un autobus che non sembra affatto rallentare (stimolo reale e presente) o mi paralizzo o scappo (solitamente ci paralizziamo per qualche secondo, lo vediamo anche nei film, 9 volte su dieci lo sventurato viene investito….), ma se immagino di parlare davanti a una platea di 50 persone, entro in uno stato d’ansia che mi paralizza anche se di fatto non è ancora successo niente (e non è detto che succeda qualcosa…). L’ansia è quindi una paura anticipatoria di un fatto non ancora accaduto al quale noi attribuiamo esito negativo e catastrofico.
Anche se non sempre reagiamo in base al principio di sopravvivenza, il nostro cervello si accorge del pericolo e nel corpo avvengono una serie di modificazioni fisiologiche transitorie:
- mente più vigile
- aumento frequenza cardiaca
- secchezza delle fauci
- mani fredde/sudate
- la digestione rallenta
- il fegato rilascia zuccheri (bisogno di energia)
- diminuzione della risposta da parte del sistema immunitario, che può essere utile nell’immediato ma che può comportare danni nel lungo termine
- minzione
Tuttavia vivere sempre sotto pressione o con la perenne paura che possa succedere qualcosa di brutto, può causare problemi piuttosto gravi alla salute nel lungo periodo, quali:
- disturbi cardiovascolari. problemi gastrointestinali come ad esempio ulcere e sindrome del colon irritabile, come pure una diminuzione della fertilità
- deficit mnestici. E’ noto che la paura, così come altre emozioni negative come l’angoscia e la tristezza nel lungo termine possono causare danni ad alcune parti del cervello, come l’ippocampo (coinvolto nella memoria e nell’apprendimento).
- la paura può condizionare il modo in cui il nostro cervello regola le emozioni, interpreta gli indizi non verbali e come agisce eticamente
- altre conseguenze riguardano la salute mentale. Fatica, umore depresso e PSTD (disturbo da stress post-traumatico)
In realtà, la reazione d’ansia è fisiologica, a livelli normali aiuta l’individuo ad affrontare meglio le performance ( i nostri antenati, non sperimentando l’ansia, il più delle volte venivano o aggrediti o mangiati….). L’ansia diviene patologica quando crea disagio e peggiora la qualità delle prestazioni.
E’ importante notare che in tutto il mondo le persone soffrono di disturbi d’ansia, quello che cambia è il motivo su cui l’ansia si focalizza. Quando nella vita di una persona è accaduto un evento a forte impatto emotivo (un trauma, uno shock), questo causa sentimenti di impotenza ed orrore, ma soprattutto l’evento traumatico viene costantemente rivissuto dando vita a comportamenti evitanti.
Viene da chiedersi come mai la neocorteccia (il sistema cerebrale razionale) non entri in azione per renderci la vita più semplice da affrontare. La risposta ancora una volta ce la dà la scienza.
Gli animali non hanno una neocorteccia evoluta come la nostra, il che rende le azioni semplicemente istintive, il loro organismo non si avvale di altre forme di scarico; la neocorteccia umana ignora le reazioni istintive, regola gli impulsi, riflette prima di agire, cerca decisioni….il ciclo istintivo che si chiude negli animali, negli esseri umani rimane incompleto, dando vita al trauma.
Aspetti cognitivi della paura
Oltre ai fattori neurobiologici, molte ricerche si sono incentrate sugli aspetti cognitivi della paura.
Uno dei più importanti fattori individuati è la convinzione negativa persistente riguardo al futuro.
Le persone che temono un’umiliazione, la fine di una relazione, la paura di ammalarsi e così via mettono in atto comportamenti di salvaguardia e autoprotezione. Spesso gli individui paurosi e ansiosi sentono di avere uno scarso controllo sulla propria vita e sull’ambiente che li circonda, intensificando l’attenzione alle potenziali minacce e agli indizi negativi.
Ad es. uno studio condotto nel 2010 ha dimostrato che le persone affette da fobia sociale prestano più attenzione ai volti che esprimono rabbia. Orientare la propria attenzione verso stimoli o pensieri minacciosi è un meccanismo involontario e molto veloce, addirittura entra in azione ancora prima che la persona sia del tutto consapevole dello stimolo.
Il più delle volte la paura specifica di qualcosa (fobia sociale, acrofobia, nictofobia, odontofobia, e anche la metatesiofobia, cioè la paura del cambiamento) è stata causata da un episodio traumatico non sempre uguale allo stimolo che attualmente fa paura, ma simbolicamente simile. Freud lo spiega, seppur con linguaggio enigmatico e fortemente astratto, nel caso del Piccolo Hans che in seguito a un evento traumatico verificatosi quando aveva solo 4 anni, sviluppò una fortissima fobia per i cavalli che portò avanti per molti anni. A volte invece non vi è stato alcun trauma.
Paura del cambiamento: perchè cambiare spaventa?
Potremmo chiamare la paura del cambiamento come paura di tutto ciò che è nuovo.
La paura del cambiamento è molto diffusa anche tra le persone che non presentano disturbi d’ansia.
Semplicemente il nostro cervello registra il cambiamento come incertezza che viene registrato come errore.
E’ proprio questa caratteristica che ci fa decidere di non rischiare, di non fare il passo più lungo della gamba… Lo possiamo notare nella vita di tutti i giorni: ho problemi con il capo a lavoro, vorrei cambiare occupazione…ma se poi si ripete la stessa cosa? E se dopo un periodo di prova non mi rinnovano il contratto? Se mi danno uno stipendio più basso? Un sacco di “e se poi….???”
La neuroscienza ci ha infatti dimostrato come individui con lesioni nella parte frontale del cervello perdono la capacità di controllare gli impulsi e di evitare il rischio; un po’ come i giocatori d’azzardo incalliti o gli adolescenti che non hanno ancora raggiunto la piena maturazione di quest’area.
Paura del cambiamento: perché cambiare spaventa? indubbiamente un meccanismo dall’alto valore evoluzionistico.
Come sostiene Papadia […] raggiungere un obiettivo è la soluzione a un problema evolutivo. […] il “dispositivo strategico” uomo quindi, funziona contemporaneamente al problema stesso. […] la pianificazione strategica avviene in un solo modo: accumulando in quel magazzino di memoria, che è il codice genetico, i dati provenienti dagli stimoli, dai tentativi abortiti e dalle risposte positive dell’ambiente. Le informazioni memorizzate e ordinate forniscono il materiale necessario ad una certa previsione (p. 22, corsivo mio).
Quindi la paura del cambiamento, o meglio, di quello che possiamo perdere con il cambiamento è una paura normale, che in certi casi ci può anche salvare la pelle (la paura ci può far diventare molto prudenti); ma ci sono casi in cui la paura del nuovo diventa una vera e propria patologia che comporta distress e sofferenza psicologia.
Basti pensare a tutte quelle persone coinvolte in relazioni sentimentali con partner abusanti e/o violenti e che non trovano il coraggio di chiudere per paura di rimanere soli, per paura dei problemi economici, paura di pentirsene, paura delle ritorsioni del partner e così via.
O ancora, una persona con bassa autostima potrebbe decidere di non approcciare mai con la donna che gli piace per paura o di un rifiuto o di farsi conoscere meglio. Oppure pensiamo ai giovani studenti che rinunciano a ottime opportunità di crescita professionale per fobia sociale o per non doversi allontanare troppo dalla famiglia…..
Ad ogni rinuncia di cambiamento subiamo una presunta perdita, sicuramente lo sappiamo, ma è per questo che esistono le comfort zone.
Le persone che hanno paura del cambiamento si creano inconsapevolmente degli stili di vita pensando che siano quelli giusti per loro; queste comfort zone danno l’illusione di benessere e sicurezza. Ad esempio. Una donna può “decidere” di fare la mamma-casalinga a tempo pieno e usufruire della copertura economica del marito (comfort zone). Pensa di stare bene così, che così doveva andare la sua vita. Ad un’analisi più profonda ci rendiamo conto che la più profonda paura di questa donna è di non farcela da sola. Probabilmente non crede abbastanza in se stessa oppure ha avuto brutte esperienze lavorative che le hanno lasciato un trauma. Una volta individuato il problema di fondo, bisogna intervenire per una presa di coscienza e una guarigione interiore.
Paura del cambiamento: perché cambiare spaventa? A questa domanda, spesso “la causa” di una forte paura del cambiamento affonda le radici nella famiglia di origine.
Genitori con una visione negativa della vita, troppo apprensivi, cinici, trasmettono al figlio diffidenza e stato di allerta.
Il futuro adulto volgerà il suo focus all’esterno e ai pericoli, dimenticandosi di se stesso, dei suoi bisogni, delle sue capacità e potenzialità, e anche delle tantissime opportunità che il mondo può offrire.
Oppure uno stile di attaccamento insicuro-evitante da bambino, può portare il futuro adulto a problemi di dipendenza affettiva, che a sua volta genera una serie di strategie comportamentali volte al mantenimento di uno status o di una situazione, seppur frustrante.
Molti genitori etichettano i figli come intelligenti, svogliati, svegli, furbi. Questi, tenderanno sin da giovanissimi a vedersi così e non diversamente, persone definitive senza possibilità di cambiamento. E’ un po’ quello che succede nei paesi a forte dominanza maschile; sin dalla nascita molte donne pensano di non poter avere una vita diversa o di non poter osare nulla di nuovo perché così gli è stato fatto credere. Le ripercussioni sullo sviluppo di una società del genere sono molto nocive.
Ciò che sarebbe opportuno fare è riconoscere/premiare un’azione compiuta e non la persona in sé. Inoltre è stato dimostrato che talvolta i genitori non sanno insegnare ai figli come si affrontano i problemi. Credenze e valori di una famiglia possono influire sui pensieri e le scelte di una persona.
Basti pensare al povero che pensa di non potersi permettere neanche di sognare….secondo Watzlawick questa modalità di pensiero è tra le più distruttive in assoluto, dal momento che si trasformano in profezie che si autoavverano.
In generale, riprendendo il proverbio citato a inizio articolo, sembrerebbe che preoccuparsi troppo di cosa accadrà una volta raggiunta la mèta sia controproducente.
Una possibile spiegazione cognitiva di questa modalità di pensiero ce la fornisce la teoria dei bias cognitivi, in questo caso il bias della disponibilità, secondo il quale le persone tendono a valutare come più importanti le cose che più facilmente rievochino nella mente.
Ad es. siamo propensi a ritenere che l’animale più pericoloso per gli esseri umani sia lo squalo….Infatti siamo stati abituati a film, notizie in tv ecc. che dipingono lo squalo come il peggior nemico dell’uomo. Eppure non è così. La zanzara fa molti più morti di uno squalo!
Il ragionamento di questo tipo influenza giudizi e decisioni importanti nella nostra vita, ma se vogliamo avere una concezione più realistica di come vanno le cose nel mondo, dobbiamo imparare ad esercitare il pensiero critico.
Come? Liberandoci da preconcetti ed ricordi negativi del nostro passato e superare la paura del cambiamento
Secondo gli studiosi della personalità, vi sono due tipi di individui a seconda del punto di partenza delle loro percezioni nei confronti dell’ambiente:
- i campo-dipendenti (prendono come punto di riferimento quello che c’è nel campo visivo). Sono caratterizzati da dipendenza, passività, timorose dei propri impulsi, con scarso autocontrollo.
- campo-indipendenti (si riferiscono alla percezione del proprio corpo). Si mostrano più attive e autonome nei confronti dell’ambiente, propense ad aver fiducia, sanno controllare i propri impulsi, possiedono un’immagine del proprio corpo matura e stabile.
Paura del cambiamento: perché cambiare spaventa? Cosa fare per accettare con serenità i cambiamenti?
I cambiamenti non sono tutti uguali.
Alcuni sono talmente automatici e quasi invisibili che li accettiamo e ci plasmano senza neanche accorgercene.
Basti pensare alle variazioni veloci del mondo del lavoro, di internet e così via. Eppure viviamo in modo relativamente sereno. Tuttavia sono proprio questi cambiamenti fluidi e invisibili, che pervadono la nostra quotidianità a rendere necessarie decisioni coscienti e volontarie di modifica della nostra vita.
Insomma il cambiamento produce ulteriori bisogni di cambiamento.
Paura del cambiamento: perché cambiare spaventa.
Alcuni consigli per allenare la mente al pensiero divergente ed uscire dalla zona di comfort:
- Ricordiamoci che la nostra esistenza è programmabile e riprogrammabile. Ce lo insegnano le neuroscienze ma anche la psicoterapia e tutte le pratiche olistiche che agiscono sulla mente.
- Chiedi un parere a chi ce l’ha fatta. A parità di condizioni di partenza, può essere veramente illuminante confrontarsi, sfogarsi e chiedere consigli.
- Liberati dal senso di vuoto. Come suggerisce N.V. Peale “Pensare, imparare, provare, lavorare, avere fiducia. Thomas Edison ha dovuto fare 99 tentativi prima di arrivare a quello che gli ha permesso di accendere la prima lampadina.
- Non possiamo cambiare il mondo a nostro piacimento ma possiamo fare la differenza….si potrebbe iniziare impegnandoci in una passione oppure fissando un obiettivo a medio-lungo termine. Il tuo contributo potrebbe rivelarsi un vero breakthru
- Aiuta gli altri e fai brainstorming. Fate un elenco di ciò che pensate di non essere in grado di fare o dei vostri presunti fallimenti; poi fate un calcolo delle vostre qualità e focalizzatevi. Ecco, ora parlate con qualcuno che come voi ha una visione negativa di sé e del mondo: scoprirete quante idee, alternative e possibilità vi verranno in mente.
- “Be empowered”. L’empowerment è di difficile traduzione italiana perché racchiude molteplici significati. Possiamo considerarlo un processo-risultato. E’ un movimento propositivo verso la conquista di un potere inteso come maggiore capacità di scelta e di controllo. In psicoterapia, ma anche nelle aziende, in politica, nella vita comunitaria, la cultura dell’empowerment si sta diffondendo sempre più. Responsabilizzazione, apprendimento continuo, senso di autoefficacia, autonomia, feedback costruttivi, creatività e motivazione sono le caratteristiche di una persona che ha fatto un lavoro profondo di empowerment. Lo scopo è sapere di poter fare, godendosi il percorso (di crescita) fino al raggiungimento di una meta che non deve essere considerata come definitiva e assoluta.
- Insisti e persevera. I migliori percorsi e risultati per superare la paura del cambiamento sono quelli che richiedono più tempo per essere realizzati. Il cambiamento non è una mèta ma un percorso.
Bibliografia
- https://www.uopeople.edu/blog/why-you-have-fear-of-change-all-the-ways-to-overcome-it/
- Per la parte di Neuroscienze: Bear F.M. et al., Neuroscienze. Esplorando il cervello. Edra 2016
- Dallago L. Che cos’è l’empowerment. Carocci Editore, 2006
- G.C.Davison, J.M. Neale, Psicologia clinica, Zanichelli, 2000
- Levine. P.A. Traumi e shock emotivi. Come uscire dall’incubo di violenze, incidenti ed esperienze angosciose. Macro Edizioni 2002
- Papadia M. La riprogrammazione esistenziale. Psicoterapia, counseling, medicina naturale. Armando Editore 2001
- Peale V.N Come acquistare fiducia e avere successo, Bompiani, 2004
- Watzlawick P. Istruzioni per rendersi infelici, Economica Feltrinelli 2001
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